Che le “aspettative”, oltre che da un punto di vista “emozionale”, fossero il “motore” della vita lo abbiamo imparato dai tempi della scuola: chi non ha studiato e analizzato “Il sabato del villaggio”, una delle poesie più note di Giacomo Leopardi, in cui si racconta la quotidianità di vita di un paese e i preparativi, nonché, soprattutto, le attese per la festa domenicale.
Un “approccio” che si può estendere ad ogni aspetto del nostro vivere: ben sappiamo come cambi il nostro modo di affrontare il “quotidiano” e le varie problematiche che incontriamo a seconda del “modo” con cui ci poniamo e, appunto, delle aspettative che riponiamo.
I mercati, è cosa nota, certamente non sfuggono a tale regola: quasi sempre più che il “qui e ora” è quello che “ha da venire” che può indirizzarli in un senso o nell’altro.
Quello che è successo ieri (e nella odierna notte asiatica) conferma la regola.
La consistente caduta del petrolio (oltre che diverse altre materie prime, vedi il rame) è stata la motivazione che ha fatto scattare le vendite, con gli indici in “profondo rosso” un po’ ovunque. La richiesta o meno del petrolio e delle materie prime “industriali” è, infatti, uno dei principali indicatori del buono stato di salute dell’economia (fermo restando che è sempre valida la classica regola “causa-effetto”, dove spesso diventa difficile capire quale sia il motivo prevalente, o meglio quale sia il quello scatenante: in questo caso, il prezzo del petrolio è sceso perché si pensa che in un futuro ormai prossimo la produzione industriale sia destinata a scendere, e quindi se ne consumerà meno, per cui si comprerà meglio, oppure è sceso perché già oggi se ne consuma meno perché la crisi “è già tra noi”, e quindi, essendoci già oggi una richiesta minore, è normale che il prezzo scenda?).
Indubbiamente quella di ieri la reazione dei mercati è sembrata una reazione un po’ esagerata: sembra quasi che oramai via sia una certa analogia con le vicende climatiche, con burrasche e scrosci d’acqua e vento sempre più violenti che si alternano a periodi di caldo soffocante. I dati cinesi di questi giorni e quelli arrivati dagli Usa sono stati i motivi scatenanti. Nel primo caso il timore che “l’economia del dragone” fallisca il raggiungimento dell’obiettivo, fondamentale per il Paese, di crescita almeno del 5%. L’industria manifatturiera americana, invece, conferma uno stato non propriamente “brillante”, con l’indice ISM (le attese dei Direttori acquisti del settore industriale) di agosto ancora in contrazione per la 21° volta negli ultimi 22 mesi (in realtà, pur rimanendo sotto lo spartiacque dei 50 punti, c’è stato un leggero miglioramento rispetto a luglio, essendo passato da 46,8 a 47,2, ma sono i “nuovi ordini” che hanno zavorrato il settore).
In tutto questo, sempre con riferimento alla produzione petrolifera, si innestano aspetti più tecnici, quali la diminuzione delle scorte globali (secondo Kepler ai minimi dal 2017). Mentre non ha avuto alcuna ripercussione sui prezzi il fatto che la produzione libica, nell’ultima settimana, sia precipitata di 600.000 barili giornalieri (solitamente ad un calo dell’offerta consegue un aumento dei prezzi, diventando più scarsa la quantità).
Tornando alle “attese”, è probabile che diventino ancora più importanti i dati che verranno pubblicati venerdì relativi al mercato del lavoro USA: quelli pubblicati il mese scorso avevano lasciato un po’ di amaro in bocca, lasciando spazio ai timori di calo della crescita e l’arrivo di una fase recessiva. Si tratterà, quindi, di capire se si proseguirà su questa falsariga o se, invece, è stata solo una “pausa estiva”. Tutti elementi che potrebbero ulteriormente rafforzare le aspettative non tanto del prossimo taglio dei tassi (scontato che sia la BCE, il 12 settembre, che la FED, il 17-18 settembre, mettano mano alle forbici) quanto piuttosto dell’entità di quelli successivi, con il mercato che prevede almeno 6 tagli entro il 2025, con un punto di arrivo al 2,50%.
Dopo lo shock dei primi di agosto, quando in un solo giorno ha perso il 12,4%, questa notte il Nikkei di Tokyo ha accusato un nuovo pesante calo (– 4,24%), sulla spinta dei titoli tech (ieri sera il Nasdaq ha chiuso sui minimi di giornata, a – 3,15%). Seppur negativi, gli altri indici asiatici stanno dimostrando una maggior “compostezza”: a Hong Kong l’Hang Seng arretra dell’1,29%, mentre Shanghai contiene le perdite allo 0,6%.
Negativa l’Australia (- 1,88%) e il Kospi di Seul (- 3,04%).
A New York ieri sera S&P 500 – 2,12%, Dow Jones – 1,51%.
Futures in calo questa mattina, più contenuto a Wall Street (–0,50-0,60%), più pesante in Europa (come normale, essendoci un naturale “riallineamento” con le maggiori perdite americane in chiusura di ieri).
Quotazioni del petrolio in calo anche questa mattina: il WTI tratta sotto i $ 70, a 69.89 (- 0,74%).
Gas naturale Usa $ 2,211 (+ 0,18%).
Oro in calo, ma sempre in prossimità dei $ 2.500 (2.496, – 0,20%).
Spread a 140 bp, con il BTP al 3,67%.
Bund al 2,27%.
Treasury 3,82%, in leggero calo rispetto al 3,84% di ieri.
€/$ a 1,1056.
In caduta libera il bitcoin, a $ 56.715.
Ps: probabilmente se chiediamo quale sia il prodotto italiano più conosciuto al mondo, a giocarsi il “titolo” sono la Ferrari (che, però, più che un prodotto rappresenta un marchio) e la Nutella (in giro per il mondo non penso siano in molti a sapere che a produrla è la Ferrero). Il “prodotto” per eccellenza: se ne producono 500.000 tonnellate all’anno, per un valore di circa € 14 MD di €. Da oggi anche i vegani potranno iniziare a consumarla: infatti parte la vendita (per ora in Italia, Francia e Belgio) del barattolo “verde” (sarà contraddistinto, infatti, dal tappo verde) dedicato a quella categoria di consumatori. Il “segreto”? semplice: al posto del latte in polvere si useranno farina di ceci e sciroppo di riso. Semplice per la Ferrero, un po’ meno per gli altri. Lunga vita alla Nutella.